1944, George Stinney, classe 1929, venne accusato di aver ucciso l’undicenne Betty June Binnicker e Mary Emma Thames, 7 anni, che vennero trovate senza vita il giorno dopo della loro scomparsa. Erano state picchiate e uccise con un’arma di ferro creata al momento dell’attacco. Alla ricerca partecipò anche il padre di George.
George venne arrestato, insieme al fratello poi rilasciato, dal vice sceriffo Newman, il quale affermò che George aveva detto di essere stato il colpevole e disse anche dove trovare l’arma del delitto. Tuttavia non esiste nessun documento ufficiale firmato dal ragazzo. I sospetti su di lui erano aumentati in seguito a una confessione di un su maestro di scuola: a scuola era considerato un bullo e graffiò una sua compagna con un coltello.
In seguito all’arresto, la famiglia andò in rovina: il padre perse il lavoro e di conseguenza la casa donatogli dal datore di lavoro. Rimase in prigione per 81 giorni senza vedere né genitori né altri famigliari. Il processo durò solamente una giornata: la presentazione delle accuse e prove durò circa 2 ore e mezza e la decisione della giuria solo 10 minuti. George era un ragazzo nero, di origini afroamericane, e nell’aula non era presente nessuna persona nera, solo bianchi.
Durante il processo solo tre poliziotti testimoniarono e anche se queste testimonianze non erano sufficienti, e soprattutto non certe, venne condannato alla pena di morte tramite sedia elettrica dopo soli 10 minuti di discussione.
Il 16 giugno 1944, alle 19:30, George entrò nella camera di esecuzione con una bibbia in mano, sulla quale poi si sedette sulla sedia per fare da rialzo. Venne data la prima scossa da 2400 V, la maschera gli cadde mostrando i suoi occhi sbarrati e la bava alla bocca provocata dalla scossa. Dopo 4 minuti dalla prima scossa venne dichiarato il decesso.
Il 17 dicembre 2014, esattamente 70 anni dopo la condanna, la giudice Carmen Mullen decise di revocare la condanna perché non ebbe un processo equo e privo di un’adeguata difesa. I famigliari delle due vittime affermarono che il processo fosse stato ingiusto e razzista, ma dissero comunque di non revocare la condanna perché era sicuro che fosse stato lui il colpevole.