Se potessimo fare un giro nelle vie dell’Antica Grecia, quello che vedremmo sarebbe diverso da quello che ci aspetteremmo. Saremmo immersi nel colore, perché, oltre a pitturare le statue, i Greci dipingevano le case, gli edifici pubblici, i rilievi e i templi. Anche le statue in bronzo erano colorate e venivano talvolta decorate con avorio o vetro.
La pittura policroma Greca e Romana
Diversamente da come noi pensiamo, le statue in Grecia e a Roma non erano del colore naturale del marmo, tipico del rinascimento, bensì policrome (letteralmente “a più colori”). La scoperta avvenne analizzando i ritrovamenti di Pompei nel XVII secolo.
L’arte policroma si divide in più periodi. Il più antico risale al V secolo a.C., dove il materiale usato per la costruzione di templi e statue era il tufo, facile da pitturare. Più tardi si iniziò a usare il marmo e, per farne risaltare il colore e le sfumature, il colore venne in parte eliminato.
La scelta del colore
I colori che venivano utilizzati maggiormente erano l’azzurro e il rosso. Meno utilizzati erano invece il bianco e il nero e quasi mai utilizzati erano il giallo e il verde.
La scelta del colore non era casuale. A ogni parte del corpo corrispondeva un colore specifico: nelle parti nude è il rosso che appariva maggiormente, la barba, i capelli e le pupille erano in nero, gli occhi erano bianchi o del colore della pietra.
Alcuni studiosi ipotizzarono che l’azzurro greco fosse in origine nero, poi ossidato con il tempo, e che il rosso di Pompei fosse un’alterazione in seguito all’eruzione del Vesuvio di un azzurro.
Testimonianze di autori contemporanei
Un altro accertamento sull’uso del colore ce lo danno autori e filosofi che vissero nel periodo dell’Antica Grecia: nei loro testi descrivevano le statue a colori. Anche da segni evidenti a Pompei è emerso l’uso della pittura. Tuttavia non si è ancora in grado di capire perché, pur conoscendo la policromia, scultori come Michelangelo non abbiano continuato a dipingere le statue.